Benvenuti nell'archivio della famiglia Pepi

Benvenuti nell'archivio della famiglia Pepi - Archivio Pepi

La famiglia Pepi è una delle nobili famiglie che hanno segnato la storia di Firenze medicea e lorenese. Dall’XI secolo proviene la sua origine genealogica il capostipide “Pepe” conia l’origine del cognome, del resto questo casato sembra essere legato in origine al commercio di spezie e principalmente al pepe: “E’ ritenuto da molti che i Pepi siano originari dell’isola di Cipro e che il loro cognome derivi dall’aver avuto in Firenze il monopolio del commercio del pepe.” Tra l’altro alcuni studi hanno teorizzato collegamenti di parentela con i celebri pittori Cimabue, (pseudonimo di Cenni di Pepo 1240-1302) e Sandro Botticelli (pseudonimo di Alessandro di Mariano Filipepi 1445-1510). La storia politica fiorentina è comunque segnata da questo casato, il quale accanto a molti altri, traccia la sua nobile origine con illustri membri della famiglia al servizio della società fiorentina. Durante la Repubblica i Pepi fecero parte della Signoria ben 29 volte, 25 in qualità di Priori e 4 in qualità di Gonfalonieri di Giustizia.

Con l’avvento della famiglia Medici e la progressiva trasformazione da Signoria a Granducato i membri della famiglia Pepi ricoprono alti incarichi nel territorio grazie anche ad una efficace strategia matrimoniale: il casato dal XVI al XVIII secolo si unisce alle nobili famiglie dei Ridolfi, Medici, Gondi, Pecori, Grazzini, Niccolini.

Esponente di grande rilievo è il celebre Ruberto Pepi (1572-1634), commerciante di spezie ed uno dei primi banchieri di Firenze al banco di via Ricasoli; nel 1999 R.B. Litchtfiel pubblicò “Un mercante fiorentino alla corte dei Medici”  (Olschki, 1999), studio e trascrizione del manoscritto-memoriale tutt’oggi pervenuto. Ruberto Pepi si unisce in matrimonio con Isabella de’ Medici nel 1608 questo fece diventare la famiglia tra le protagoniste della società fiorentina: da allora i membri del casato entrarono a far parte dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano. La genealogia della famiglia si rispecchia nello stemma araldico del “Palo d’Argento su campo rosso”, presente in tutti i luoghi ove la famiglia ha avuto delle proprietà: la Villa di Morulli (oggi villa Bertolini Carrega) e Villa Pepi presso Careggi; la Villa Pepi (o di Vigliano) e i poderi di Torre all’Isola e delle Cetine presso Rignano sull’Arno come altre proprietà presso la lega di Cornetole in Mugello. Dal 1653 risale l’acquisto di Palazzo Berlignhieri in via dei Bonfanti, che diverranno nel corso del 1700: Palazzo Pepi e Via dei Pepi.

I Pepi detengono nei secoli un rapporto spirituale con diversi centri religiosi: soprattutto la Basilica di S. Croce, nella quale la famiglia ha una tomba terragna nella pavimentazione della Chiesa, ma anche S. Remigio e Santa Maria Maddalena dei Pazzi (in ambedue i casi sono presenti le cappelle Pepi), nonché S. Piero a Careggi.

Attualmente la famiglia Pepi è divisa in tre differenti rami; dalla fine del XIX secolo ad oggi, gli ultimi antenati riposano in una cappella del cimitero di S. Miniato, ed in parte in una cappella presso la villa di Vigliano. Nel 2012 per iniziativa di Maria Luisa Pepi è stato restaurato il tabernacolo della Madonna di S. Giovannino all’incrocio tra via dei Pepi e via Ghibellina in onore della famiglia e con dedica alla città di Firenze.

La famiglia Pepi vive ancora a Palazzo Pepi, ove al piano nobile è conservato l’Archivio di famiglia che comprende documentazione amministrativa e genealogica dal 1500 ad oggi.

 

 

La famiglia Pepi: un tesoro della memoria tra documenti d’archivio ed epigrafi.

Riccardo Sacchettini

1. La Famiglia Pepi

Finalmente in Italia l’avvento del turismo ha creato un sussulto d’interesse nei confronti del patrimonio culturale, soprattutto a Firenze dove all’interno dei Musei e siti protetti cresce l’afflusso dei visitatori sempre più curiosi a scoprire le radici dell’arte e della storia. Ma pensare che solamente i capolavori artistici e i monumenti storici bastino a definire il valore culturale di una società come la nostra sarebbe miope. Infatti in Italia c’è anche una rete ancora troppo poco conosciuta di biblioteche e di archivi che permette di entrare in profondità sulle dinamiche sociali ed evoluzionistiche della nostra identità culturale.

Nella città di Firenze sono rimaste alcune fortunate testimonianze di sedimentazione storica relative agli archivi delle famiglie nobili. La nobiltà, grazie al suo prestigio confermato nel susseguirsi dei secoli, ha costituito parte del mantenimento e dell’evoluzione urbana, della vita del mercato e dell’artigianato e dell’unione sociale della comunità.

La famiglia Pepi è un grande esempio di cronaca dinastica: le sue origini risalenti all’XI secolo nascono dal capostipite “Pepe”, commerciante di spezie tra le quali il preziosissimo pepe, proveniente dall’Isola di Cipro. Lo scambio dell’allora sconosciuto prodotto e le contrattazioni fortunate hanno innescato l’insediamento di quella che sarebbe stata una delle più importanti e longeve dinastie fiorentine destinate al protagonismo blasonico.

In una città dove all’interno del Comune vi sono i primi scontri di “colore” tra Guelfi e Ghibellini, i Pepi si legarono alla medesima “sorte” di altre famiglie di fazione Guelfa aderendo ad una Torre di consorteria, quella che è sopravvissuta ancora oggi  nel Lungarno Acciaiuoli e chiamata appunto Torre dei Consorti: «Detto ciò si spiega il nome di questa torre, la quale era una specie di condominio appartenente a 18 famiglie, fra le quali le più note erano quelle dei Vinciguerra, dei Giurianni, dei Baldovinetti, dei Pepi, degli Adimari, dei Mannelli, dei Belfradelli, dei Buccatondi, dei Lupicini»[1].

Ma la famiglia Pepi lascia un segno molto rilevante nella vita politica della citta di Firenze, dove diversi membri del casato ricoprirono ruoli istituzionali: «Durante la Repubblica i Pepi fecero parte della Signoria ben 29 volte, 25 in qualità di priori, dei quali aprì Neri di Pepe, nel 1301, 4 in qualità di gonfalonieri di giustizia »:[2]

 

Neri di Rustico: priore nel 1292, 1301, 1310 e Gonfaloniere di giustizia nel 1306;

Lapo del Bene di Rustico: priore nel 1345;

Bernardo del Bene di Rustico: priore nel 1345;

Piero del Bene di Rustico: priore nel 1350, 1355;

Francesco di Pepe, lanaiolo; priore 1369, 1373;

Gio di Francesco di Pepe: priore nel 1381;

Angiolo di Francesco di Pepe: priore nel 1381, 1389;

Giovanni di Franceschino Pepi: priore nel 1401, 1411, 1416;

Onesto di Bernardo del Bene: priore nel 1425;

Ottaviano di Chirico: priore nel 1434;

Chirico di Gio di Franceschino: priore nel 1438, 1447, e Gonfaloniere di giustizia nel 1459;

Rustico di Gio di Franceschino: priore nel 1447;

Gio di Chirico di Gio: priore nel 1480;

Piero di Rustico di Giovanni: priore nel 1486;

Francesco di Chirico di Giovanni: priore nel 1493, 1502, e Gonf. di giust. nel 1499, 1513;

Ruberto di Chirico di Giovanni, priore nel 1495;

Neri di Chirico di Giovanni, priore nel 1504;

In particolare è ricordata la figura di Francesco di Chirico di Giovanni, il quale ebbe una posizione eminente nel dibattito costituzionale che si aprì a Firenze nel periodo savonaroliano. Oltre ad aver ricoperto due volte la carica di priore e due volte quella di Gonfaloniere di Giustizia, fu anche Ambasciatore della Repubblica Fiorentina dell’Imperatore Massimiliano nel 1496 e Ambasciatore di Papa Giulio II nel 1506 nonché riformatore nel 1512. É ricordata la sua diligenza nel 1502 a rappresentare il Gonfalone del quartiere di Santa Croce: «[…]chiedeva la formazione di un Senato, composto di duecento-quattrocento persone, il quale sottrasse parte della sua autorità al Consiglio maggiore […] il Pepi sottolineava volutamente l’urgenza di giungere a una svolta, assicurando alle case ottimatizie una presenza stabile al governo della repubblica […] Per tutti questi motivi il progetto Pepi non si trasformò immediatamente in un testo di legge. Era servito, comunque, ad indicare le forme del futuro assetto costituzionale dello stato […] »[3]

Ma un’altra figura di spicco della famiglia è Ruberto Pepi (n.1572-†1634), figura ampliamente studiata nei saggi di F. Pera, Notizie inedite di Ruberto Pepi [4],e di R. Burr Litchfield, Un Mercante fiorentino alla corte dei medici.[5] L’Archivio Pepi conserva un’importante manoscritto autobiografico di questa figura, il saggio di R. Burr Litchfield ne ha riproposto la sua intera trascrizione oltre che al suo approfondimento storiografico. Ruberto, figlio di un altro Ruberto Pepi e Dianora Ridolfi, dopo aver ricevuto un’istruzione letteraria fu avviato al commercio nella banca Ricasoli e, per loro, fu inviato con carico di mercanzie e dinari nel 1592 ad Alessandria d’Egitto, viaggio che rinnovò per altre quattro volte. Fu nominato nel 1598 Scrivano di razione nelle galere dell’Ordine di Santo Stefano dal Granduca Ferdinando I dei Medici, viaggiando per Algeri, Maiorca e Barcellona. Dal 1601 divenne poi Luogotenente delle Galere e Commissario fino al 1603 a seguito delle prese delle galere di Alessandria. Divenne però capitano del galeone di S. Giovanni Battista e Sant’Orsola con la quale fece diversi viaggi in Spagna. Nel 1608 fece ritorno a Firenze per essere eletto maestro di casa dei principi forestieri in occasione delle nozze di Cosimo, figlio del Granduca Ferdinando I dei Medici, con Maria Maddalena d’Austria. Nello stesso anno si unì a Isabella dei Medici, appartenente a un ramo cadetto della famiglia Granducale, matrimonio che dette un prestigio straordinario a Ruberto e alla sua famiglia. Ebbero dodici figli «[…] sei maschi e sei femmine: delle quali tre appariscono aver preso l’abito di monache; due del monastero degli Angioli e una in Montedomini; e un maschio entrò fra i Domenicani col nome di Frate Vincenzo.»[6].

Durante il XV e il XVI secolo diverse fonti attestano che i Pepi dimorarono in case poste nel Popolo di san Pier Maggiore e nei pressi di San Remigio; sappiamo inoltre che furono proprietari di alcuni poderi nei dintorni di Firenze come quello del Pino, fuori porta S. Gallo, e quello di Vigliano, in Valdarno. Anche la strategia matrimoniale della famiglia portò ad un aumento della ricchezza e del prestigio e l’albero genealogico mostra come la linea diretta che va dal XIV fino al XIX secolo si basa esclusivamente di matrimoni contratti con casati quali i Ridolfi, i Medici, i Gondi, i Macigni, i Pecori ed i Niccolini. Il patrimonio Pepi contenne allora la villa di Morulli, il podere di Rinieri a Careggi ed i poderi presso la lega di Cornetole o Tagliaferro in Mugello.

Una delle date più significative della storia della famiglia Pepi è il 6 maggio 1653, quella del contratto di compravendita tra Lucrezia Serragli, vedova Pucci, e Francesco Pepi per Palazzo Berlinghieri in via dei Bonfanti. Da allora la famiglia Pepi dimorò stabilmente in quella che sarebbe divenuta nel corso del 1800 l’attuale via dei Pepi. Una via che trova il suo punto d’arrivo in Piazza di Santa Croce, ad un passo dal sagrato dell’antica Basilica Francescana. Lo stesso Palazzo, come la strada, cambiò il proprio nome divenendo ufficialmente Palazzo Pepi.

L’apice del prestigio della famiglia Pepi si ebbe 19 aprile 1751 data di iscrizione della stessa nei Libri d’oro, con il conseguimento del titolo di “Nobili Patrizi Fiorentini, del quartiere di S. Croce, del gonfalone del Lion Nero”[7].

Le riforme legislative di matrice napoleonica degli inizi del XIX secolo colpirono direttamente la classe nobiliare con lo scioglimento del vincolo del Fedecommesso, che prediligeva l’eredità ai soli discendenti con figli maschi, e questo portò al frazionamento del patrimonio immobiliare che comportò la vendita dei poderi e la divisione delle unità immobiliari tra i diversi rami della famiglia. Ciò che però continuò a seguire la linea diretta di famiglia fu il patrimonio documentario, ovvero l’Archivio di Famiglia.

2. L’Archivio della Famiglia Pepi

All’interno del Palazzo della Famiglia Pepi è stato conservato un mobile rinascimentale ricco di documenti attinenti alla famiglia stessa. Questa documentazione è sopravvissuta fino ai giorni nostri nonostante abbia risentito di spostamenti all’interno delle proprietà immobiliari e dei numerosi passaggi di proprietà tra discendenti e familiari. Da questo punto di vista l’Archivio Pepi continuò la linea di discendenza diretta maschile, l’unica che poteva assicurare la permanenza della documentazione ai membri che conservassero ancora il cognome. La linea maschile arrivò a Giuseppe Pepi (n.1825-†1875), il quale ebbe due figli Umberto e Guido: Umberto ebbe un solo figlio maschio, che però divenne frate Benedettino, Don Ruperto. La linea genealogica di Guido continuò invece la permanenza del cognome con due figli maschi, Piero e Dino, e di questi solamente Piero Pepi (n.1898-†1957) ebbe figli: Guido, Maria Teresa e Maria Luisa. Guido (n.1928-†2004) ebbe due figlie, Eleonora e Sofia, e lasciando con la sua famiglia molto presto la residenza in Palazzo Pepi, la primogenitura andò alla sorella minore Maria Luisa come ultima discendente femmina del casato.

L’archivio è stato collocato dopo diverse vicissitudini presso la sua sede originaria, ovvero la sala grande del piano nobile del palazzo di proprietà di Maria Luisa Pepi. Lei stessa, riservando da sempre il desiderio di definire per iscritto la storia della sua famiglia e nello stesso tempo per ordinare tutto questo complesso di antichi documenti, si rivolse al Professor Antonio Romiti, ordinario di Archivistica dell’Università degli studi di Firenze, il quale, con la sua supervisione, affidò le lunghe ricerche allo scrivente Riccardo Sacchettini, allora suo studente, al fine di redigere una tesi di laurea che comprendesse una descrizione generale della documentazione e uno studio analitico di una piccola parte di essa. La Tesi venne discussa nell’aprile 2012 ed ebbe la valutazione del massimo dei voti con lode.

Per volontà della stessa Maria Luisa Pepi il mio lavoro è continuato fino al raggiungimento dell’obbiettivo principe: la schedatura totale ed analitica di tutta la documentazione, il suo definitivo ordinamento e, quindi, la redazione di un inventario ufficiale.

Gli insegnamenti del Prof. Antonio Romiti traggono fondamento dai metodi delineati dai proff. Francesco Bonaini e Salvatore Bongi: il Prof. Romiti è altresì Presidente dell’Istituto Storico Lucchese, che gestisce una collana editoriale relativa alla redazione di inventari e strumenti per la ricerca eseguiti proprio secondo la “scuola toscana” del Bonaini e del Bongi.

È stato dunque stampato - con il contributo esclusivo di Maria Luisa Pepi e la collaborazione dell’Università degli studi di Firenze e dell’Istituto Storico Lucchese - il volume dal titolo L’Archivio della famiglia Pepi[8]: trattasi di un inventario analitico e completo dell’Archivio Pepi che, oltre alla schedatura completa dei documenti, comprende le presentazioni del Sindaco di Firenze Dario Nardella, del Presidente dell’Istituto Storico Lucchese Prof. Antonio Romiti e del Presidente degli Amici dei Musei e dei Monumenti Fiorentini Prof. Giovanni Cipriani. All’interno del volume trova collocazione il saggio storico-araldico del Prof. Luigi Borgia membro dell’Académie Internationale d’Héraldique.

Lo stesso volume è stato presentato il 23 ottobre 2015 presso il Cenacolo di Santa Croce da Alberto Balestreri, Antonio Romiti, Giovanni Bettarini (Assessore allo Sviluppo Economico e Turismo in rappresentanza del Sindaco), Ernesto Ricci (per la lettura della relazione del Prof. Roberto Navarrini), Luigi Borgia, Laura Giambastiani e l’autore.

La stampa dell’inventario registra la presenza delle 164 unità complessive dell’Archivio storico comprensive di 31 filze 109 registri e 24 buste.

Il volume ha avuto una tiratura di 1000 copie: per volontà della signora Maria Luisa Pepi, con l’aiuto dell’Archivio Storico della Città di Firenze una copia del volume è stato depositato in ogni biblioteca del territorio fiorentino per dare a tutti, soprattutto ai giovani studiosi, la possibilità di consultarlo.

Dalla stampa del volume Maria Luisa Pepi, con l’aiuto dei figli, ha proceduto all’organizzazione di una serie di incontri relativi a presentazioni del volume e visite all’archivio con varie istituzioni, a cominciare dai corsi di archivistica dell’Università degli studi di Firenze tenuti dalla Prof.ssa Laura Giambastiani e agli incontri con le associazioni del territorio come gli Amici dei Musei e dei Monumenti Fiorentini, il Coro di Santa Croce e Città Nascosta.

La figlia di Maria Luisa, Cristina Balestreri, sempre presente ad ogni incontro, provvede all’aggiornamento del sito web: www.archiviopepi.it al fine di rendere attiva la divulgazione storica dell’archivio.

Alberto Balestreri, figlio di Maria Luisa, affianca il lavoro della madre e della sorella per la valorizzazione del patrimonio storico culturale della famiglia che si esplica nell’atteggiamento del guardare al futuro mantenendo attenzione al passato, come è ricordato nel suo intervento:

«[…] un archivio da “banchieri”: che attesta la serietà e la disciplina di una famiglia che, tra l’altro, ha amministrato per molti secoli i propri beni, e quelli di molte altre nobili famiglie fiorentine, sulla base della fiducia che ha saputo costruire nel tempo e della correttezza del proprio operato, correttezza che deve essere possibile dimostrare conti alla mano; - che è stato alimentato – e difeso da rischi ed aggressioni di ogni genere – per centinaia di anni, come se fosse più una “cassaforte di valori” che un “archivio di documenti amministrativi” […]»[9]

Il lungo lavoro durato circa quattro anni, lascia la sua testimonianza in un volume di oltre settecento pagine, che si aggiunge alla storia di Firenze e del territorio come nuovo punto di partenza a nuove correnti di ricerche. Il casato dei Pepi, rappresentato da Maria Luisa, ha investito quindi nella memoria cartacea in un momento contemporaneo di evidente smarrimento di modelli sociali e morali: ripartire dall’Archivio per coltivare le proprie radici.

«In quest’area il dott. Sacchettini ha superato la fase quasi esclusivamente esecutiva, meccanica, del proprio lavoro, consistente nel disporre secondo l’ordine dato le carte che gli sono giunte, perché essere archivista significa essere estremamente sensibile, significa saper captare i vari ritmi della vita al di là delle istituzioni, significa farsi attori nel saper vedere altri documenti rispetto a quelli ufficiali e contenuti diversi anche in quelli ufficiali. Il suo lavoro è il risultato della ricostruzione della strategia della memoria dei Pepi e con questo fine ha attuato un ordinamento capace di provvedere non soltanto alla consultabilità della documentazione, ma anche di spiegare le motivazioni per cui la documentazione è stata proiettata nel futuro in quel determinato modo. L’inventario Pepi, dunque, è e rimarrà uno strumento di studio che aprirà agli studiosi infinite e allettanti prospettive sulla storia della famiglia Pepi, ma anche su quella di una Firenze che non finisce mai di sorprendere.»[10]

3. Sepolcri di Famiglia

Ciò che rende speciale il casato Pepi è l’esempio di assoluta devozione cristiana e onestà sociale comprovata dai numerosi documenti d’archivio: accanto ad essi, c’è tutto un percorso di epigrafi che mostra l’evolversi di usi e costumi nel susseguirsi dei secoli.

La famiglia Pepi si riconosce nello stemma araldico del “Palo d’argento in campo rosso”, e come ricorda il noto araldista Luigi Borgia: «il loro stemma appare “miniato” su una carta delle Provanze […] lo scudo è “timbrato” da elmo volto a destra con la visiera semiaperta, e cimato da quattro grandi piume. Il “palo” è una figura araldica assai comune ed, oltretutto, è comune la bicromia argento-rosso. Già solo il rosso, secondo i calcoli di Alessandro Savorelli, si trova in tutta l’araldica d’Europa, con una percentuale del cinquanta-sessanta per cento[11]

Lo stemma dei Pepi è il simbolo che ci riconduce presso la Chiesa di San Remigio, fondata nell’XI secolo a Firenze; al suo interno sono scolpiti vari stemmi araldici sui pilastri ottagonali e sulle pareti, il primo pilastro sulla destra riporta l’iscrizione «S·DELBENEPEPI·FILIO22·»[12], ad indicare l’iniziativa e il contributo per la ricostruzione del 1350 della chiesa di Ser Piero del Bene Pepi.

Una cappella di famiglia che esiste tutt’oggi è quella della chiesa di Santa Maria Maddalena dei Pazzi fondata nel XIII secolo. La cappella è posta al penultimo posto sul fondo del lato destro della navata, corredata del blasone araldico posto al centro dell’arcata. Sul pavimento si trova una tomba terragna ove vi è sepolto Francesco di Chirico Pepi con sua moglie, come riporta l’iscrizione circolare:

Frānciscvs pepivs ivrcon hoc sacel et sep:sibi vxori libisq pos·[13] 

Nella Cappella Pepi di San Remigio è presente sul fondo la vetrata con Stimmate ed esequie di San Francesco, «databile tra il 1500 e il 1510 e creata sulla base di un cartone usato per un’opera simile nella chiesa di San Salvatore al Monte»[14] e la vetrata riporta anch’essa il blasone con l’arme dei Pepi.

Fu sempre Francesco di Chirico Pepi a commissionare la vera tomba di famiglia riconoscibile oggi con certezza è all’interno della Basilica di Santa Croce, luogo sacro importantissimo per l’ordine francescano, nonché grande mausoleo monumentale per le personalità storiche del nostro paese. Non è ancora certo se Francesco di Chirico sia sepolto nella tomba di Santa Croce o in quella di San Remigio, ma è certo che i suoi discendenti fino ai primi anni del XIX secolo furono tutti tumulati li. Posta nella navata destra, prima campata, fra la porta di ingresso addossato alla facciata interna è riconoscibile nelle sue fattezze per la rappresentazione dello stemma Pepi, la tomba è fatta in marmo bianco di Carrara, verde di Prato e rosso di Verona. Riporta incisa l’iscrizione a carattere capitali disposta in modo circolare:

Franciscus i(uris) c(onsultus) familiae peporum instaur(andum) curavit[15]

Come risulta evidente le due incisioni di S. Remigio e Santa Croce si riferiscono allo stesso “iure consulto”, ovvero al Francesco di Chirico come uomo di legge. Purtroppo allo stato attuale l’iscrizione della Tomba di Santa Croce è in parte cancellata dal consumo della superficie dovuto al camminamento di fedeli e visitatori, ma fortunatamente documenti fotografici ne salvano il suo contenuto. Uno studio appropriato di Cristina Cheli nel volume de Le lapidi terragne di Santa Croce ne riserva una descrizione altamente dettagliata: 

«La lastra è riportata dai sepoltuari nella posizione che occupa attualmente. Il Burgassi registra un’iscrizione diversa da quella che compare oggi, dove si dice che la tomba fu restaurata nel 1621 dal capitano Roberto di Roberto Pepi che vi fu inumato nel 1633. É verosimile che la sepoltura, voluta da Francesco di Chirico, sia fondata nel secondo decennio del XVI secolo, restaurata quindi nel 1621 come si è visto e ancora una volta nel 1912 quando, essendo l’epigrafe completamente cancellata, come si legge sul Cirri, fu ripristinata la primitiva iscrizione. La lastra è molto semplice, formata dal solo chiusino, contenente lo stemma circondato dall’epigrafe. L’utilizzo di sole tre varietà di marmo, di cui due di cavatura toscana, è ancora circondato al tradizionale gusto per l’essenzialità che andrà pian piano a scomparire insieme alla semplicità delle decorazioni.»[16]

La Tomba di Santa Croce è la tomba della famiglia Pepi fino al cosiddetto editto di Saint Cloud (correttamente: Décret Impérial sur les Sépultures), emanato da Napoleone a Saint-Cloud il 12 giugno 1804. L'editto stabilì che le tombe venissero poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che fossero tutte uguali. Si volevano così evitare discriminazioni tra i morti. Fu esteso al Regno d'Italia dall'editto Della Polizia Medica, promulgato sempre da Saint-Cloud, il 5 settembre 1806. Ugo Foscolo, come molti altri scrittori contemporanei, si scagliò contro questo editto con il carme Dei Sepolcri. Da allora la famiglia Pepi, come tutte le altre famiglie nobili, ebbe diversi luoghi di sepoltura per i suoi membri.

Bernardo Pepi (n.1787-†1870) era proprietario di due ville a Careggi: la Villa di Morulli e la Villa di Rinieri, ed è proprio in questo territorio che si trovano due sepolture singolari sono presenti al lato della facciata della chiesa di S. Iacopo a Careggi relative a Luisa Niccolini nei Pepi (n.1796-†1845)e la figlia Marianna Pepi (n.1819-†1833) a loro volta moglie e figlia di Bernardo Pepi. Le due epigrafi hanno testi estremamente toccanti a cominciare dalla figlia Marianna scomparsa a soli quattordici anni:  

«L’ultimo bacio di amore – ci chiedesti e ridonasti affettuosa – nel XXVIII nov. Del MDCCCXXXIII - O MARIANNA NOSTRA FIGLIA DOLCISSIMA – creatura per breve tempo terrena - e benedicendo adorasti i voleri divini - anelando al bacio del signore ridente angiolo del paradiso – per tempo immortale / o genitori lieti di figli crescenti – lagrimate – l’addio angoscioso di morte – da Bernardo Pepi e M. Luisa Niccolini – dato a figlia innocente di innocenti maniere – di gioconde speranze di soli anni XIV – oh! Non provi il vostro cuore – una pena che attrista fino alla morte»[17]

L’epigrafe di Marianna riporta scolpito lo stemma dei Pepi, al fianco quello della madre, la  Marchesa Luisa Pepi, che scompare dopo dodici anni e nella cui lapide, oltre allo stemma Pepi, vi è anche quello Niccolini, la famiglia di provenienza:

«Gli angeli della pace - custodiscono le amate ceneri - DI LUISA PEPI- nata in Firenze Marchesa Niccolini - cara d’indole innocentissima di costumi - bella di tutte le virtù coniugali e materne -provvida buona concorde - ogni pensiero dell’anima ogni palpito del cuore  - al merito ed ai figli consacrava sollecita  - esempio raro alle madri e alle spose  - provata nei di della vita - durò nel generoso volere del bene - e nelle angustie non le venne meno il coraggio - e quando per forza di acuto morbo - l’ottava sera di luglio 1845 - moriva di anni quarantotto - tranquilla nei soavi conforti di religione - da lei profondamente sentita - e forte nella speranza della fede - contenta di abbandonar questo esilio - volava ad amare la sua famiglia - dal paradiso/Sposa e madre diletta - dopo averti vegliata con le cure dell’amore il  più santo - per l’ultima volta baciata già fredda - inconsolabili della tua perdita - qui accanto ad una tua figliuoletta come bramasti - ti ponemmo lacrimando sospirando»[18]

Il dolore che colpì Bernardo Pepi, per la perdita della moglie e della figlia, portò alla vendita definitiva dei beni di Careggi del 1854.

La famiglia era già proprietaria di un Oratorio privato adiacente alla Villa di Vigliano presso Rignano sull’Arno in Valdarno recante in facciata la lapide: «Quest’oratorio fv fatto in onore di S. Antonio da Padova dall’Illvstiss.mo signore Giovanni Pepi  NOBILE FIORENTINO per svo commodo e divozzione l’anno della nera salvte 1737»[19]. Questo Oratorio divenne la prima Cappella mortuaria di famiglia, una lapide a fianco della principale, ricorda la sua riedificazione del 1928 da Parte di Umberto Pepi con dedica a Sant’Anna, e il successivo restauro di Dianora Pepi nei Ferri del 1937.

Attualmente, nella Cappella di Vigliano vi riposano tutt’ora sei esponenti diretti della famiglia con loro correlati relativi a: Antonina Pepi (n.1792-†1870), Bernardo Pepi (n.1787-†1870), Giuseppe Pepi (n.1892-†1892), Dianora Pepi nei Ferri (n.1891-†1980), Umberto Pepi (n.1860-†1937), Marianna Pepi nei Capacci (n.1860-†1928), Guido Ferri (n.1890-†1964) e Mario De Maria (n.1916-†1971).

È molto curioso notare che lo stemma della famiglia, onnipresente nelle antiche tombe terragne delle chiese e nelle primissime tombe di Careggi e Rignano, scompare gradatamente dalla fine dell’ottocento lasciando il posto ai titoli personali come patrizio fiorentino, generale, capitano.

Ma la principale e definitiva Cappella di famiglia si trova nel Cimitero delle Porte Sante, il cimitero monumentale adiacente alla Basilica di San Miniato più importante della città di Firenze. Nella Cappella Pepi di San Miniato vi sono dodici lapidi che ospitano diciannove esponenti della famiglia: Guido Pepi (n.1864-†1904), Margherita Pepi (n.1900-†1971), Rosalia Cerrina Feroni nei Pepi (n.1868-†1938), Giulia Pepi nei Paolucci Mancinelli (n.1893-†1957), Emilia Pepi (n.1895-†1918),  Paolo Paolucci Mancinelli (n.1923-†1946), Gino Paolucci Mancinelli (n.1987-†1966), Dino Pepi (n.1903-†1938), Piero Pepi (n.1898-†1957), Luisa Pepi nei Gotti (n.1862-†1957), Antonino Pepi (n.1820-†1882), Fanny Pepi (n.1824-†1911),  Roberto Pepi (n.1828-†1877), Emilia Bocci nei Gamerra e Pepi (n.1824-†1903), Giuseppe Pepi (n.1825-†1875), Antonio Ciarpaglini (†1867), Eleonora Pepi nei Ciarpaglini (n.1823-†1903), Karl Ritter von Mossig (n.1828-†1908),  Sofia von Mossig (n.1830-†1910)[20].

Con questa serie di luoghi ed epigrafi si chiude il cerchio di un percorso storico che mostra i segni della famiglia sul territorio: da Santa Croce a San Miniato, dai documenti d’archivio alla toponomastica ancora oggi presente nella città di Firenze. In via dei Pepi, all’incrocio con via Ghibellina, vi è un tabernacolo raffigurante la Sacra Famiglia con San Giovannino del XIX secolo in una edicola del XVI secolo. Il 28 maggio 2012 vi p stata l’inaugurazione del restauro del tabernacolo, ove è posta la targa: «Restauro a cura di MARIA LUISA PEPI in onore della sua antichissima famiglia e dedicato alla città di Firenze»[21].



[1] Piero Bargellini, Ennio Guarnieri, Firenze delle Torri, Bonechi Editore, Firenze, 1973, p. 82.

[2] Vittorio Spreti, Enciclopedia storico nobiliare italiana, ESNI, Milano, p. 242.

[3] Sergio Bertelli, Uno Magistrato per a tempo lungho e uno Dogie, Leo S. Olshki, Firenze, 1980.

[4] F. Pera, Notizie inedite di Ruberto Pepi che viaggiò sulle galere dalla fine del secolo XVI fino ai principj del VVII, [saggio pubblicato senza editore e data stampato presumibilmente agli inizi del ‘900 e  conservato in Arch. Pepi, M.L.P., memorie; F. Pera  precisa: «dalla cortesia del signor Umberto avendo avuto agio di consultare cotali manoscritti, tolgo da essi le notizie, che varranno a far conoscere il suo antenato, meritevole di ricordo per la non comune operosità e sagacia, di chi diede prova nei diversi uffici sostenuti, specialmente in servigio delle galere Toscane»

[5] R. B. Litchfield, Un mercante fiorentino alla corte dei Medici. Le “Memorie” di Roberto di Roberto Pepi (1572-1634), Leo S. Olschki, Firenze, 1999.

[6] F. Pera, ivi, pp.6-7.

[7] A.S.F., Deputazione Nobiltà, filza di Giust VII, ins.2.

[8] Riccardo Sacchettini, L’Archivio della Famiglia Pepi, ITS, Lucca, 2016.

[9] Cfr.  discorso di presentazione del dott. Alberto Balestreri in occasione della presentazione del volume L’Archivio della Famiglia Pepi presso Cenacolo di Santa Croce a Firenze il 23 ottobre 2015 in Arch. Pepi, M.L.P., memorie.

[10] Cfr.  intervento del Prof. Roberto Navvarrini, e letto in sostituzione dal dott. Ernesto Ricci in occasione della presentazione del volume L’Archivio della Famiglia Pepi presso Cenacolo di Santa Croce a Firenze il 23 ottobre 2015 in Arch. Pepi, M.L.P., memorie.

[11] Luigi Borgia, Note sul Patriziato Fiorentino, in Riccardo Sacchettini, L’Archivio della Famiglia Pepi, ITS, Lucca, 2016, pp. XLIII-VLIV.

[12] Vedi il primo pilastro ottagonale sulla destra nella Chiesa di San Remigio a Firenze.

[13] Vedi Cappella Pepi nella chiesa di Maria Maddalena de’Pazzi a Firenze.

[14] ID The Convent of Santa Maria Maddalena de’Pazzi and its Works ok Art, Florence, 1990, pp. 13-18.

[15] Cristina Cheli, Le lapidi terragne di Santa Croce, Polistampa, Firenze, pp.121-122.

[16] Ivi.

[17] Vedi tomba di Marianna Pepi nel lato destro della facciata di S. Piero a Careggi

[18] Vedi tomba di Luisa Niccolini nei Pepi nel lato destro della facciata di S. Piero a Careggi. 

[19] Vedi Cappella Pepi di Vigliano presso la Villa Pepi di Vigliano nel Comune di Rignano sull’Arno.

[20] Vedi Cappella Pepi presso il Cimitero delle Porte Sante in San Miniato al Monte in Firenze.

[21] Vedi targa Amici dei Musei Fiorentini al tabernacolo angolo via dei Pepi-via Ghibellina in Firenze.

Per informazioni e richieste scrivere al seguente indirizzo:

archiviopepi@gmail.com

Grazie.

Archivio Pepi

Archivio Pepi